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"Immagine dell'Io: felice di piacermi" di Dede Riva

Ci sono più motivi di gioia che tempo per contarli. 
Quella della gioia è una scelta di vita che innesca meccanismi di positività. L'immagine dell'Io è il meraviglioso strumento che rende possibile ogni cosa.

All'interno del corso di Psicodinamica esiste un esercizio, chiamato l'Immagine dell'Io, che costituisce uno dei pilastri di tutto il metodo. Consiste nel realizzare a livello immaginativo un autoritratto, non necessariamente corrispondente a quello che noi siamo, ma a quello che vorremmo essere, aspetti che, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, raramente coincidono. Tale tecnica, quindi, è completamente indipendente dalla capacità di disegnare o dipingere, tanto che nella nostra esperienza professionale sono frequenti i casi di persone che, pur avendo queste capacità, non riescono almeno agli inizi ad avere un ritratto soddisfacente, e viceversa, di persone che non sanno neppure tenere in mano la matita, ma visualizzano splendidi autoritratti.

Possiamo definire l'immagine dell'Io come un filtro, che ciascuno ha, non a livello razionale, ma più in profondità, un filtro che connota tutto ciò che esce da noi verso l'esterno e tutto ciò che dall'esterno entra in noi. È quella componente che, quando conoscete una persona poco attraente o decisamente brutta, secondo i canoni estetici comuni, ma dotata di simpatia, di calore, di grande carica vitale, fa sì che presto dimentichiate il suo aspetto fisico ed emettiate nei suoi confronti un giudizio decisamente e globalmente positivo. Può succedere anche il contrario, vale a dire incontrare persone indiscutibilmente gradevoli sotto il profilo estetico, con le quali, dopo poco, cominciate a sentirvi a disagio; non riuscite a capire il perché, ma vi viene voglia di allontanarvi da esse. Le prime hanno un'immagine dell'Io in equilibrio e vi trasmettono quindi una sensazione di armonia, di serenità, di vitalità che vi attrae e vi fa ricercare la loro compagnia; le seconde, non avendo ancora raggiunto questo stadio, vi trasmettono una sensazione di disarmonia e di carenza che il vostro lo non gradisce.

Questo per quanto riguarda ciò che la persona trasmette all'esterno, ma, si diceva, il discorso vale anche nella direzione opposta; succede allora di conoscere persone che, di fronte alla classica bottiglia che contiene acqua pari alla metà della sua capacità totale, la vivono come mezza piena, ed altre che, nella stessa situazione, la vivono come mezza vuota. Cosa cambia? Qual è l'elemento che nel primo caso spinge ad un giudizio positivo e nel secondo ad uno di segno opposto? Visto che la motivazione di tale atteggiamento non può essere ricondotta a circostanze esterne la quantità d'acqua è esattamente identica nei due casi – bisogna ricercarla nell'interiorità della persona, nel filtro che essa frappone tra sé e la realtà oggettiva: l'immagine dell'Io, appunto.

EFFETTI DELL'IMMAGINE DELL'IO

Da quanto detto emerge che, lavorare sulla propria immagine dell'Io, serve per riequilibrarla e riarmonizzarla, laddove ce ne fosse bisogno... ma chi non ha bisogno? Anche perché, esiste un limite all'armonia ed all'equilibrio? Questo comporta importanti cambiamenti nella qualità della vita. Chi ha una buona immagine dell'Io, ad esempio, riesce a gestire meglio la propria salute, tenendo sotto controllo tutti quei disturbi che comunemente vengono definiti psicosomatici. Il novero di tali malattie va ampliandosi progressivamente, seguendo l'affermarsi crescente del principio di medicina olistica, di una medicina cioè che non considera la malattia come il prodotto di un agente esterno – cosa che in parte fa anche la medicina psicosomatica, estendendo però l'influsso di tale agente, anche alla sfera psichica – ma considera l'individuo come una realtà multidimensionale, interagente con l'ambiente, che ricorre alla malattia, quando viene perso l'allineamento delle varie dimensioni tra di esse. Ma è questo un discorso che potremo trattare meglio tra breve.
Un'immagine dell'Io positiva consente inoltre di gestire meglio il rapporto con se stessi, con gli altri e con le problematiche con cui la vita mette a confronto, fornendo alla persona la possibilità di vivere il primo aspetto non come solitudine, ma come compagnia di se stesso, il secondo con rapporti di comunicazione, di scambio e d'amore, ricchi ed appaganti. Ed il terzo, valutando nel modo corretto le varie situazioni della vita, affrontandole e risolvendole con equilibrio. Un terzo effetto derivante da un'immagine dell'Io in equilibrio è la possibilità di sfruttare meglio e senza dispersioni il proprio potenziale energetico, attingendo ad un serbatoio che, altrimenti, rimarrebbe inaccessibile.

Vediamo ora quale può essere una chiave di lettura esoterica di questo esercizio; dobbiamo, a questo proposito, partire dal presupposto, accennato in precedenza, della natura multidimensionale dell' essere umano, che prevede un piano materiale, costituito dal corpo fisico, un piano energetico, costituito da un corpo più sottile, chiamato eterico o pranico; da un piano emozionale, costituito da un corpo ancora più rarefatto, che viene chiamato astrale, e da un piano spirituale, chiamato lo o , accompagnato spesso, quest'ultimo termine, da vari aggettivi quali superiore, profondo, divino o spirituale.

Portiamo la nostra attenzione a esso: è la componente dotata di saggezza, di capacità di discernimento, è la sede del potenziale creativo e d'amore, è la parte non vincolata dalle categorie spazio e tempo, perché è a conoscenza di tutte le leggi della natura e possiede il senso dell'eternità. Insomma, è l'atomo di divinità presente in ogni essere umano. Questa fonte di qualità psicospirituali riesce ad effondere le sue informazioni alle altre dimensioni nella misura in cui i canali di intercomunicazione sono aperti.

Un corpo fisico incapace di fare da supporto materiale alle altre componenti, un corpo eterico dotato di scarsa vitalità e, quindi, di ridotta capacità pensante, un corpo astrale non in grado di gestire il proprio sentire, sono veicoli inadeguati ed il Sé, quindi, potrà manifestare la sua presenza in grado limitato. Anche perché, non è necessario che tutte le dimensioni sopracitate non funzionino in modo adeguato; ne basta solo una per interrompere la comunicazione.

Ed il Sé non ha molti strumenti per inviare informazioni a chi non sia sensibilizzato al suo operare: uno di questi è il sogno. Un tempo l'uomo era abituato ad ascoltare e tradurre il messaggio onirico ma oggi, alle soglie del terzo millennio, questa abitudine è caduta così in disuso che molti credono addirittura di non sognare, semplicemente perché non ricordano i sogni, e non li ricordano proprio perché non prestano loro attenzione. Comunque il Sé, quando deve comunicarci qualcosa, ci prova e, se noi non riusciamo a captare il messaggio in prima battuta, ci riprova con un linguaggio più forte, un incubo. Molto spesso, però, neppure questo secondo tentativo sortisce alcun effetto, ed il Sé deve passare a mezzi decisamente più drastici: la malattia, la difficoltà, l'ostacolo. Per coloro che già hanno un buon rapporto con la propria scintilla divina, l'immagine dell'Io può essere uno strumento immaginativo straordinariamente efficace per gestire la propria evoluzione; per chi invece è agli inizi della sua ricerca spirituale, questa tecnica diventa uno strumento necessario per ri-attivare il contatto con il Sé e per consentirgli di ricevere e trasmettere informazioni.

Ecco allora che, alla luce di quanto si è detto in precedenza a proposito degli effetti prodotti da un lavoro regolare compiuto con questo strumento, e dalle caratteristiche del corpo fisico e di quelli sottili, si comprende facilmente come la funzione della malattia venga a decadere quando la persona si metta in grado di ricevere per altra via l'indicazione dello stile di vita giusto per lei. Questo aspetto si è talmente evidenziato negli tempi che da uno studio effettuato negli Stati Uniti si è riscontrato che le persone che, attraverso la meditazione o altri strumenti – e l'Immagine dell'Io rientra sicuramente in queste forme –mantengono un buon contatto con il loro Sé, spendono il 77% in meno degli altri per spese mediche (consultazioni, farmaci e ricoveri ospedalieri) e sono meno soggette a disturbi cardiaci e tumori.

Ed insieme alla malattia, scompaiono anche altre manifestazioni che, vissute come negative dalla persona, altro non sono che opportunità per acquisire qualità necessarie alla sua evoluzione ed alle sue esigenze karmiche: gli ostacoli, la sofferenza, la fatica. Inoltre, accanto alla scomparsa di questi aspetti, ne compaiono altri collateralmente, tutti legati alle qualità essenziali del Sé: l'incremento della creatività, ad esempio, intesa come capacità di trovare soluzioni originali e brillanti a problemi di varia natura, il rafforzamento della volontà e della determinazione, il miglioramento della capacità di concentrazione e della chiarezza mentale, ma soprattutto – ed è ciò che ci interessa sottolineare in questo contesto – l'incremento della gioia di vivere.

L'IMMAGINE DELL'IO E LA GIOIA DI VIVERE

Cerchiamo di approfondire questo aspetto, partendo dalle cause che, in genere,
impediscono di provarla. Si possono sostanzialmente ricondurre a tre categorie: la prima comprende tutti quegli atteggiamenti di autocritica che ci inducono a pensare che non ci comportiamo correttamente (senso di inadeguatezza) o di non fare le cose come dovrebbero essere fatte (perfezionismo). La seconda categoria comprende tutti quegli aspetti che spingono a cercare consenso, capacità decisionale e sicurezza all'esterno; il comportamento di chi, se deve ordinare qualcosa da bere, dice «Quello che prendi tu va benissimo anche per me», oppure, se gli chiedete se si piace, se si è simpatico, vi risponde «Non sta a me dirlo, bisogna chiederlo agli altri».
Sia in questo caso, che nel precedente, si tratta evidentemente di un problema di autoaccettazione ed entrambe queste categorie, quindi, sono da connettere a cause che trovano la loro origine a livello della personalità, ma ve n'è una terza che si muove invece su un piano spirituale perché è costituita da tutti gli atteggiamenti derivanti dal senso di distacco dal divino, quegli atteggiamenti che spesso conducono esseri particolarmente sensibili a ricercare questa unione ricorrendo ad alcool e droghe.

Esiste una parola, "disastro", che indica chiaramente questo aspetto; è composta dal prefisso separativo greco "dys" e da "astro" e significa separazione dalla stella d'origine, perdita dell'unione con il mondo dello spirito. Anche se oggi non la usiamo più in questa accezione, il senso di distacco da Dio è il vero disastro per ognuno di noi perché, nella nostra realtà di esseri multidimensionali, ci aliena la nostra identità spirituale, facendoci perdere il nostro centro e, conseguentemente, ogni punto di riferimento; ogni gioia ci è preclusa ed impedita la felicità proprio come all'innamorato cui viene sottratto l'oggetto del suo amore.

Attraverso il lavoro con e sull'immagine dell'Io si recupera – o si rinsalda – il contatto con il Sé, attuando di conseguenza un allineamento di tutte le componenti ed una maggiore comunicazione nelle due direzioni, dal centro verso la periferia e viceversa. Ecco allora che la persona, non più animata dal senso di separatività, che si traduce in prima istanza in separazione da se stessa, comincia a provare sentimenti di autoaccettazione, autorispetto ed autostima che si trasformano poi in amore per se stessa. Badate bene, l'amore per se stessi non significa egoismo; come sottolinea Erich Fromm(1) l'egoista non ama se stesso, anzi si odia, e tale mancanza d'amore e di attenzione nei confronti di se stesso lo lascia così vuoto e frustrato da cercare affannosamente tutt'intorno a sé possibili compensazioni. Ricerca vana, naturalmente, che lo costringe a chiudersi sempre di più in una spirale di fredda e sterile solitudine.

L'atteggiamento della persona che comincia ad amarsi è, viceversa, di grande apertura. Attraverso un più forte senso della propria identità psicospirituale, diventa consapevole delle proprie esigenze, che riesce a soddisfare in modo diretto e naturale; è in grado di mantenere salde le proprie opinioni sia di fronte a pressioni interne che esterne; riesce ad assumere decisioni più facilmente; può utilizzare tutta la forza della propria emotività senza farsi travolgere da essa; incomincia a cogliere l'aspetto giocoso della vita ed a partecipare alla gioia della creazione.

Da quanto detto più sopra emerge, poi, un altro importante effetto del lavoro sull'immagine dell'Io: il contatto con il Sé, ed il sentimento d'amore che ne deriva, il ritrovato senso di identità, e la sensazione di sicurezza che ne consegue, fanno sì che la persona riesca anche ad interagire molto meglio con gli altri ed a rapportarsi in modo più equilibrato con le difficoltà della vita. Aumenta, infatti, il senso di tolleranza nei confronti delle debolezze altrui, la capacità di cooperare più amichevolmente, la gentilezza e l'apertura sincera, la possibilità di aver rapporti più naturali, non essendo più avvertita come pressante la necessità di essere al centro dell'attenzione di tutti; affiora o si rinsalda la capacità di affrontare le difficoltà in modo equilibrato, sulla base della maggiore consapevolezza delle proprie potenzialità. Insomma la persona acquista una "morbidezza", una disponibilità ed un calore, sintomi – e a loro volta cause – di un'inequivocabile apertura alla gioia di vivere. Va notato, per inciso, che tutto questo suscita l'apprezzamento degli altri che, attratti come api dal fiore, ricercano la compagnia di tali persone, riconfermando la componente fascinatoria, a prescindere dall'aspetto fisico, di cui si parlava all'inizio di queste osservazioni.

IMMAGINE DELL'IO E KARMA

Desidero approfondire ora un punto appena accennato in precedenza; si diceva che la persona che ha una buona immagine dell'Io riesce ad affrontare le prove della vita con animo sereno, perché consapevole delle proprie potenzialità. Al di là di questo atteggiamento, ne esiste un altro che trova la sua spiegazione in un'analisi esoterica. Questo tipo di persona è in grado di conservare la propria serenità anche di fronte agli ostacoli più duri, perché essendo in contatto con il proprio Sé, che come sappiamo è svincolato dal tempo, riesce ad avere una percezione più precisa del proprio Karma ed a vivere queste prove non come episodi di sofferenza fine a se stessa, ma come preziose opportunità di apprendimento di qualità che si è lasciata sfuggire in esistenze precedenti. La comprensione del proprio karma, il rispetto e l'amore nei confronti di esso, costruiscono, allora, nella persona una consapevolezza che, togliendola dalla dolorosa posizione di monade isolata – per dirla con Alan Watts: un ego incapsulato in una pelle – la pone in armonico contatto con il flusso della Vita, con la V maiuscola; e questo costituisce una inesauribile fonte di profonda gioia dell'animo.

Un'ultima cosa: è risaputo che in natura, le modalità di sviluppo non seguono un andamento rettilineo, ma ciclico, secondo un movimento spiraliforme. Questo fa sì che anche il processo di crescita dell'essere umano segua un andamento ondulatorio, fatto di fasi di espansione e di contrazione, che conosciamo sotto il nome di onde bioritmiche. Un conto però è sapere che tali fasi esistono ed un altro è averne coscienza, farne l'esperienza; molte volte la fase di contrazione –altrettanto necessaria e positiva quanto quella di espansione – viene vissuta così male da volerne uscire a tutti i costi, ostacolando in questo modo il ritmo naturale. Chi può fare affidamento su un buon rapporto con il proprio Sé, attraverso l'immagine dell'lo, diventa consapevole anche di questi ritmi, entra in sintonia con essi e riesce a vivere i momenti di contrazione, non come depressione, ma come necessaria pausa di ricarica.

Per concludere, visto l'ampio spettro degli effetti positivi che l'uso di questa tecnica produce, non possiamo proprio più negarci alla gioia di vivere, a meno che non ce ne assumiamo in prima persona e totalmente la pesante responsabilità.

(1) Chi fosse interessato ad approfondire questo aspetto, veda di Erich Fromm, Dalla parte dell'uomo, Astrolabio Editore.

Articolo tratto dalla rivista PSICODINAMICA N. 26, Anno 10, n.1 - Gennaio-Aprile 1995.

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